San Terenzio: messaggio di S.E.Mons.Coccia alla Città e all’Arcidiocesi

Piero Coccia 11' di lettura 23/09/2011 -

L’annuale festa di S. Terenzio, patrono della nostra città e dell’Arcidiocesi ci offre come ormai da tradizione, l’occasione per una riflessione ad alta voce che la chiesa che è in Pesaro, attraverso il suo pastore, sente di poter e di dover fare a tutta la comunità religiosa e civile, nello spirito di un autentico servizio teso a realizzare in forma sempre più compiuta quel bene comune che prevede il contributo di tutti. Il programma della Festa.



Gli Orientamenti pastorali dei vescovi italiani, contenuti nel Documento “Educare alla Vita Buona del Vangelo”, vedono nella famiglia il primo ed indispensabile soggetto educativo.

Il recente Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona ha fortemente sollecitato la chiesa che è in Italia e la società italiana a farsi carico della famiglia quale cellula primaria del vivere sociale ed ecclesiale.

L’annuale Convegno di inizio dell’Anno Pastorale della nostra Arcidiocesi ha avuto come tema di riflessione e di impegno operativo “L’Eucaristia Educa la Famiglia”. Non ultimo va detto che alcune recenti scelte politiche di qualche istituzione locale centrate sulla famiglia, hanno lasciato molto perplessa la comunità cristiana.

Pertanto anche per queste ragioni che ci interpellano in maniera così diretta, ci è sembrato opportuno offrire una riflessione sulla famiglia.

1. UN PROBLEMA URGENTE: RITROVARE L’IDENTITÀ VERA DELLA FAMIGLIA

In un contesto culturale e sociale in rapida e caotica trasformazione, divenuto quanto mai “liquido” e “fluido” come ci dicono gli studiosi di fenomeni sociali, la famiglia è uno dei soggetti maggiormente colpiti, con tutte le conseguenze che ne derivano. Essa, infatti molto spesso viene vista come un soggetto non solo poco valorizzato, ma a volte vissuto come dato di consumo e per di più come una istituzione di diversa interpretazione, tanto che oggi si parla di diversi modelli di famiglia. Non possiamo ignorare che i profondi cambiamenti della mentalità e dei comportamenti e la presenza di diversi stili e modalità di convivenza, sollecitino con forza una domanda radicale. E’ ancora possibile parlare di famiglia in modo univoco? Di una sua inalienabile identità basata su alcuni caratteri fondanti, rintracciabili in ogni cultura e società? Esiste un proprium universale della famiglia? Il celebre antropologo Lévi-Strauss parlava della famiglia come unione socialmente approvata di un uomo e una donna e dei loro figli e la definiva «un fenomeno universale, presente in ogni e qualunque tipo di società». In tal modo identificava il proprium della famiglia. Reputo che questo dato sia ancora attuale e non possa essere ragionevolmente smentito. L’affermazione di Lévi-Strauss è chiara nel contenuto di fondo, anche se va interpretata in modo adeguato. Riconosce il fatto che esiste una sorta di “società naturale”, fondata su un doppio legame: quello tra l’uomo e la donna e quello tra genitori e figli. Il che non significa far riferimento ad un modello storico particolare di famiglia. Questo importante rilievo si limita a registrare l’esistenza di una sorta di “universale sociale e culturale”, che però è ben riscontrabile empiricamente, e lo è, praticamente, in ogni società. Il dato costitutivo del proprium della famiglia è dunque la sua natura intrinsecamente relazionale. La famiglia infatti non si definisce soltanto in riferimento ai soggetti che la compongono (l’uomo, la donna e i loro figli), ma mette contemporaneamente in campo il legame di appartenenza che si instaura tra di loro. È quella specifica forma di “società primaria” che tiene insieme e di fatto permette un armonico sviluppo delle differenze costitutive dell’umano: quella sessuale tra l’uomo e la donna e quella tra le generazioni (padri, figli). Il riconoscimento della famiglia come relazione specifica tra i sessi e tra le generazioni richiede pertanto una chiara valorizzazione dell’istituto matrimoniale. Si capisce bene perché il Beato Giovanni Paolo II, nella Familiaris consortio (n. 43) affermi che la famiglia è il luogo insostituibile di «esperienza di comunione e di partecipazione». La vera sfida con la quale l’istituto familiare deve fare oggi i conti e dovrà farli ancora di più nel futuro, è di ordine culturale in senso ampio. Si tratta di confrontarsi con quella mutazione antropologica avvenuta nell’ultima parte del XX secolo che ha toccato l’umano in quanto tale.

2. LA FAMIGLIA, UN INSOSTITUIBILE LUOGO EDUCATIVO
Un’altra caratteristica dell’ “universale sociale” che è la famiglia, è data dal suo essere luogo educativo fondamentale. La famiglia costituisce “una comunità di amore e di solidarietà che è in modo unico adatta ad insegnare e a trasmettere valori culturali, etici, sociali, spirituali e religiosi, essenziali per lo sviluppo e il benessere dei propri membri e della società” (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 238). La famiglia infatti trasmette, quasi per osmosi, l’esperienza morale elementare comunemente definita “ethos”. A nessuno sfugge che la famiglia è per eccellenza il luogo di un’educazione basata sulla scansione “riconoscimento-promessa-compito”. Questi tre fattori costitutivi dell’esperienza morale comune ad ogni uomo, non si possono mai separare. Pertanto il vero benessere di una famiglia coincide anzitutto con la sua capacità di rispettare e promuovere questo ethos sostanziale che educa alla fiducia, alla speranza e alla giustizia. Non si deve però credere che questo ethos familiare sia di per sé garantito dai rischi di un suo impoverimento. In ogni relazione familiare, la fiducia, la speranza e la giustizia convivono con il loro opposto. Nessuna famiglia ne è immune. In ognuna vive una certa quota di mancanza di riconoscimento di fiducia, di speranza e di giustizia. In particolare nell’odierna cultura, la famiglia è messa alla prova dalla riduzione degli affetti a pure emozioni, per loro natura transitorie e instabili. Tutto ciò complica e a volte impedisce il ruolo educativo della famiglia. Dare consistenza alla famiglia come luogo di educazione morale elementare e contrastarne i processi degenerativi, domanda una forte ripresa educativa. A tal fine però la società civile e chi la governa, non può trattare la famiglia come una associazione privata ma vedere in essa la cellula elementare della società stessa, come del resto fa la nostra Costituzione. Anzi la famiglia è in se stessa la prima forma di società.

3. LA FAMIGLIA, UNA RISORSA PER TUTTA LA SOCIETÀ
Nella società italiana, pur tra molteplici e crescenti difficoltà, si registra ancora una fitta rete di scambi, di prestazioni di cure, di solidarietà che legano i vari membri della famiglia e delle generazioni, anche se ciò raramente viene messo in evidenza con la dovuta consapevolezza.In questo possiamo vedere all’opera l’ethos tipico dei legami familiari e la loro fecondità sia sul piano personale, sia su quello sociale. C’è una stretta relazione tra appartenenza alla società e appartenenza alla famiglia. La famiglia è matrice dell’appartenenza sociale, in essa si è riconosciuti e nasce la fiducia; in essa si sviluppa la capacità di cooperare responsabilmente al bene comune in un incessante scambio reciproco. Per queste sue prerogative la famiglia viene considerata un capitale sociale primario che, se consolidato e incrementato, genererà benessere per l’intera comunità sociale. Se consumato o indebolito porterà inesorabilmente allo sfaldamento del tessuto societario. Fino ad oggi la forza della famiglia ha compensato, fungendo da volano, la spinta destabilizzante di scelte compiute a livello politico e sociale in un’ottica prettamente individualistica. Penso alla mancata equità generazionale. Il rapporto tra generazioni diverse all’interno di una stessa famiglia, ha fatto sì che laddove la circolazione equa di risorse veniva interrotta a livello sociale, essa si riattivasse attraverso il codice della reciprocità e della solidarietà nelle reti familiari. La famiglia sostiene i costi prevalenti del ricambio generazionale. In questo suo essenziale ruolo sociale dovrebbe essere non solo riconosciuta ma decisamente favorita. Penso ancora al ruolo economico della famiglia. La famiglia non è semplicemente un attore importante sul “mercato”. Essa, infatti, è il luogo normale della soddisfazione dei bisogni elementari dei suoi membri, anche attraverso il godimento dei beni e dei servizi che vi vengono autoprodotti. Spesso è il lavoro femminile che sostiene direttamente o indirettamente la produzione di beni veri e propri che, pur non transitando per il mercato, sono consumati e contribuiscono al ben-essere. Le misure economiche standard del ben-essere sono però costruite in modo da ignorare sistematicamente il contributo delle famiglie. Il lavoro non pagato non entra nel calcolo del reddito nazionale, pur contribuendo al benessere. Penso anche ad alcuni aspetti della “produzione” della famiglia che non sono facilmente rimpiazzabili dal “mercato” e che meritano particolare attenzione. Mi riferisco alla famiglia come luogo della produzione di “cura”: rivolta ai piccoli, ai malati, agli anziani. Il ruolo economico della famiglia, dunque, deve essere adeguatamente compreso e valorizzato in qualunque riflessione sulla sostenibilità dei sistemi di welfare. Infatti la lettura che ipotizzava un venir meno degli aiuti familiari dovuto all’intervento statale, viene smentita. Innumerevoli studi, relativi ai più diversi contesti mondiali, indicano che l’appartenenza alla rete familiare rappresenta un fattore cruciale di sviluppo economico e imprenditoriale, di elevata performance nel sistema educativo. La famiglia inoltre è un ambito di “assicurazione” reciproca: è importante poter contare su una struttura intergenerazionale sia nelle economie ad alto reddito sia nei contesti di povertà. Questi dati indicano con chiarezza che nessuna politica per il rilancio dello sviluppo economico può essere ragionevolmente pensata senza attenzione al ruolo che la famiglia è in grado di svolgere.

4. URGENZA DI POLITICHE SOCIALI PER LA FAMIGLIA
L’indebolimento della famiglia trascina con sé quello della intera comunità e rende vano ogni tentativo di rafforzare la coesione sociale. Ecco perché è urgente che lo Stato e le istituzioni pubbliche (sia centrali sia locali) comprendano quali sono le strategie più opportune per tutelare e promuovere la famiglia. Chi proclama di avere il massimo interesse per il benessere della società, ma non propone interventi autenticamente tesi a rafforzare la famiglia, si illude di compiere scelte ‘neutrali’. In realtà ogni azione che non passi attraverso di essa, la indebolisce ed erode il benessere sociale alle fondamenta. Una autentica politica familiare non va confusa con una generica politica di lotta alla povertà. Deve essere un insieme interconnesso d’interventi, in cui la coerenza è garantita dal fatto che l’obiettivo finale è il potenziamento delle relazioni familiari tra i sessi e le generazioni. Da qui nasce il tessuto connettivo della società.

È opportuno fermare l’attenzione su due aspetti che oggi costituiscono un nodo cruciale delle politiche familiari. La possibilità che le famiglie si organizzino autonomamente per rispondere ai propri bisogni, nell’ottica di una piena sussidiarietà, dipende sostanzialmente dal fatto che dispongano in misura adeguata sia di risorse economiche che di tempo.Dal punto di vista delle politiche sociali, questo significa occuparsi di due temi cruciali: l’ “equità fiscale” e la conciliazione tra “famiglia e lavoro”.

Ma quando si parla di politiche familiari, a quale “famiglia” si fa riferimento? A questo riguardo la valorizzazione dell’istituto matrimoniale è imprescindibile se si vuol perseguire il bene della famiglia quale cellula costitutiva della società.

Lo ripetiamo: la relazione familiare resta un unicum insostituibile, perché tiene insieme le differenze originarie e fondamentali dell’umano, quella sessuale tra l’uomo e la donna aperta alla fecondità e quella tra le generazioni. Ma ciò ha bisogno di assunzioni di varie responsabilità attraverso l’istituto del matrimonio.

Certo, concepire così la famiglia contrasta l’opinione di quanti oggi spingono verso una società fatta di “relazioni impersonali e anonime”, tenute a mantenersi “immuni” dal vincolo troppo coinvolgente e impegnativo della relazione familiare.

Ed è per questo motivo che nell’ambito di alcune politiche sociali il legame coniugale, in quanto vincolo responsabilizzante, perde il ruolo di punto di riferimento, mentre si afferma un uso assolutamente generico (e improprio) dell’aggettivo “familiare”, assegnato anche a legami a basso investimento affettivo ed etico, che possono essere sciolti e ricomposti con facilità e rapidità.

Mi auguro che anche grazie alla chiesa, la società civile nel suo insieme e le istituzioni pongano la dovuta attenzione alla famiglia per coglierne la sua vera identità antropologica, per riaffermarne il suo insostituibile ruolo educativo e per valorizzarne la sua capacità di risorsa a vari livelli da sostenere e da promuovere. Abbiamo la certezza, con dati alla mano, che investire nel “capitale familiare” significa incrementare quello sociale.

Piero Coccia Arcivescovo

Fonte Arcidiocesi di Pesaro








Questo è un articolo pubblicato il 23-09-2011 alle 11:00 sul giornale del 24 settembre 2011 - 856 letture

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